La propaganda di guerra, un’antica e valida arma di offesa. Quasimodo e l’uomo del suo tempo.
Dalla poesia alla pratica: gli attacchi chimici di Assad e la risposta telefonata degli USA.
Una rondine non fa primavera, in specie se di plastica: Bannon maestro d’illusioni alla corte di Trump.
La rete internazionale antiamericana, media in prima fila, ingabbiata nella sua stessa gabbia. Nell’attesa di vere azioni contro Nord Corea (e quindi Iran).
I cazzottoni simulati del Wrestling, che fanno impazzire la gente e forse le nazioni.
Dulcis in fundo, quel video che vale da solo la fatica di leggere l’Abate…
Uno dei più gravi errori della seconda metà ‘900 è stato immaginare un mondo completamente nuovo, irrevocabilmente rivolto al superamento di ogni limite, non solo tecnologico, ma addirittura antropologico. Come se di colpo la voce di migliaia di grandi pensatori – che da secoli presentavano assai ardua l’elevazione del singolo individuo, figuriamoci quella di comunità, stati e loro apparati – fosse divenuta solo l’eco di un passato lontanissimo. Eppure Salvatore Quasimodo ci ammoniva, ancora nel 1947…
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.