Roma, i Rom e gli italiani: storia e cronaca del blaterar sciocchezze per aumentare i guai

Chi sono i Rom, dove vanno e da dove vengono, come è la loro società? Qualche mistero (in parte) svelato. Conoscere per deliberare.

Il problema secolare di un popolo seminomade in mezzo agli stanziali. I valori nomadici. La lingua Romanì non si scrive. Le caste e l’India.

L’ignoranza assoluta degli italiani, le orecchie da mercante del pensiero debole: noi gaggi, loro zingari.

Impostare le possibili soluzioni di un problema oggettivo, scongiurando l’evocazione di Hitler e Stalin.

Rom di Romania, inizio secolo

Rom di Romania, inizi del ‘900

Prima di iniziare a trattare di una questione così spinosa, che porta inevitabilmente con sé i fantasmi spaventosi del Novecento appena trascorso, è necessaria una precisazione: l’intento non è quello di rinfocolare odi secolari né di attribuire alla presenza dei Rom un peso maggiore di quel che ha. Addirittura demenziali, se non criminali, paiono i tentativi mediatici di seppellire ben altre emergenze sotto la cortina dell’emergenza nomade. Nel paese della mafia di Stato sarebbe indegno ergersi a giudici esemplari. Ma altrettanto la negazione della specificità della questione, peraltro arcinotanon può far altro se non esasperare gli animi e spingere, paradossalmente, proprio verso quell’intolleranza che annebbia la ragione, da cui tanto cieco “buonismo” vorrebbe, miopemente, tenerci lontani. Per affrontare la specificità è necessario sapere di essa…ed è superfluo dire come in Italia, che pure tanti ne ospita, non esista affatto una consapevolezza in merito. Anzi, quella che un tempo si possedeva è andata persa, affogata nelle demenziali trasmissioni televisive, come pure nel web, in cui il dibattito è quasi sempre del tutto privo di nozioni adeguate e sempre privo di esperienze dirette, che possano dare almeno una chiave di lettura parziale. A Théléme abbiamo un po’ dell’una ed un po’ dell’altra.

Prima di risentirvi per tanta sicumera, suggerirei un’attenta lettura di quanto segue: lungi dal voler essere una descrizione e interpretazione esaustiva della cultura Rom, l’intento è quello di riportare il dibattito alle sue basi reali, tanto librarie quanto esperienziali.

Una breve digressione antropologica si impone. Quando si studia Storia si apprende come i greci antichi definissero “barbari” tutti i non appartenenti alla loro koinè, indistintamente. E’ tipica dei popoli dell’antichità una concezione ristretta di umanità, relegata essenzialmente alla propria etnia. Non che si negasse al fenicio la sua realtà di bipede pensante, ma si affermava linguisticamente, pertanto inequivocabilmente, la distinzione fra il “noi” e il “loro”: l’ “Uomo” in senso stretto, cioè nella sua pienezza, era appellativo esclusivo del popolo cui apparteneva la parola atta a definirlo. Altrettanto riteneva il fenicio del greco, ovviamente.

Nel corso dei millenni (per un insieme di concause che non è questo il luogo di sondare) la concezione di umanità si è andata via via allargando, soprattutto in occidente, sino a giungere al mito del “buon

Donna Inuit

        Donna Inuit

selvaggio” di Rosseau. Ma è agevole cogliere sopravvivenze dell’antica concezione in popolazioni lontane, sovente distanti dai traffici e dalla comunicazione globale per ragioni geografiche. Il pensiero corre subito agli esquimesi, che fra loro si chiamano “inuit”, plurale di “inuk” che significa appunto “uomo”. Altrettanto potremmo dire di molti popoli polinesiani… ma non c’è bisogno di andare così lontano.

Un altro popolo, anch’esso ‘nomade’ in modo tutto suo, ci è sempre stato assai vicino (anzi, ad esso dobbiamo sia la religione che parte fondamentale del progresso), eppure conserva ancora oggi tale distinzione semantica, categorizzando i “diversi da sé” con un unico termine, “gentili”. Parliamo naturalmente degli ebrei. I quali oggi hanno nuovamente uno stato, ma per millenni furono tenuti insieme esclusivamente dalla forza delle tradizioni, dalla pratica endogamica, dalla conoscenza dei testi sacri, dalla lingua necessaria a leggerli e da un Dio esclusivamente “loro” (come del resto nella storia antica si riscontra per ogni cultura, dagli etruschi ai persiani). E se noi eravamo “gentili”, loro erano, ben più che ebrei, “giudei”, a sottolinearne eternamente la consanguineità col traditore del Cristo.

Adesso possiamo far ritorno all’argomento che ci interessa… anche il Popolo “Rom” – suddiviso in un’infinità di sottogruppi, distinti dalle regioni in cui vivono, dalle specializzazioni lavorative, dalla stanzialità o meno – definisce tuttora “uomini” per antonomasia esclusivamente i suoi membri (Rom = Uomo), confinando il resto dell’umanità alla dimensione marginale di “gagè”. Da cui il romano “gaggio” che, per estensione del significato dispregiativo originale, diventa sinonimo di “frescone, stupidotto, pollo da spennare”. Nei libri leggerete non esservi alcuna correlazione, nemmeno etimologica, fra le parole “Rom – Romanì”, “Roma”, “Romania”. Ma è come se ci dicessero che le parole luna, lunare e lunatico non rimandano l’un l’altra. Il perché di questa connessione è tutto da scoprire, ma parrebbe davvero curioso non vi fosse. Guarda caso, il fatto di cronaca da cui scaturisce l’urgenza di questo testo è avvenuto a Roma, in zona Battistini.

Leggerete anche che non vi è alcuna certezza sulle origini dei Rom, parlanti la lingua Romanì… eppure i gruppi maggiori si chiamano “Sinti” – che suona come Sindh, regione dell’India; oppure “Kalè” – che assona assai con “Kalì”, la dea indiana di cui ci ritroveremo a parlare fra poco. Quel che vi posso dire sin d’ora, per fonte direttissima, è quanto i Rom siano i primi ad essere assolutamente convinti di venire dall’India settentrionale, in tempi remoti, e di dover guardare a quel subcontinente come “radice” ed ispirazione, anche estetica. Questo ha conseguenze ancora palpabili, alcune di tutta evidenza. Ma una cosa per volta.

Tornando al lessico, se per loro noi siamo “gagè”, loro per noi sono “zingari”, dal greco bizantino “atziganoi”, “intoccabili” (attenzione a questa terminologia… tornerà). Alcuni fanno derivare il termine da “egiziano”, anche grazie ad un riferimento storico, il primo che si possiede con certezza, legato ancora una volta all’Italia, a Bologna nello specifico…ma nella mia personale esperienza di origini egiziane nessun Rom parla, né pare ricordino un tale passaggio. Per completezza, ricordiamo che non c’è solo “zingari” come nome… nelle parlate locali abbondano gli appellativi. Ad esempio in quella pescarese sono detti “pigri”, stanziali o meno che siano (il centro Italia accoglie da secoli moltissime famiglie, passabilmente urbanizzate). Non avremo bisogno del filologo, in tal caso, per immaginare la motivazione dell’epiteto.

Notate bene, i Rom raccontano assai difficilmente la verità sulle loro tradizioni e idee, sia per naturale secolare diffidenza sia per totale indifferenza nei nostri confronti sia perché sanno che molte cose sarebbero assai malviste: conviene più dissimulare. Di quel che qui leggerete tanto deriva infatti da rarissimi singoli i quali, spinti da ragioni eterogenee, si sono sentiti nella condizione adatta per raccontare qualcosa di quel che normalmente viene celato. Non dimentichiamo anche, ma ci torneremo, che l’atteggiamento normale di un “gagè” nei loro confronti è di sospetto misto a giudizio. Un serpente che si mangia la coda, uno dei tanti.

In merito alla dissimulazione, va menzionato che il popolo Rom, nelle sue varie accezioni, si dirà più o meno cattolico, praticando in specie due venerazioni “al femminile”: La Madonna nera e Santa Sara.

Santa Sara, Camargue

Santa Sara, Camargue

Della seconda, amata soprattutto in Francia, sappiamo di più. Lo stesso nome con cui è venerata, Sara-la-Kali, rimanda all’indiana Dea Kali, che in realtà è il vero oggetto della venerazione, appena celata dietro una storia biblica appiccicaticcia. Della seconda meno, ma la profonda conoscenza dell’Abruzzo che qui si vanta (da cui discende circa la metà di quanto leggete) permette senza dubbio di ricollegare la “corsa degli zingari” di Pacentro, in onore della Madonna nera di Loreto, alla medesima sfera: quella di una “santeria” non sudamericana ma europea. Nascosta anch’essa dietro etimologie e ricostruzioni fantasiose, al fine di consentire quel sincretismo religioso che è sempre stato uno dei punti di forza del Cattolicesimo.

Notizia che mi giunge da una sola fonte, da prendere pertanto con le molle: esisterebbe un luogo perso nei Carpazi dedicato alla venerazione della Dea Kali in quanto tale, accessibile solo ai re gitani. Un tempietto tutto d’oro… metallo a cui il popolo Rom, per questioni logiche attinenti al nomadismo (valore alto in poco spazio), è da sempre assai legato. Potrebbe essere solo leggenda… di certo alquanto affascinante.

Viene facile da qui andare a toccare un altro capitolo spigoloso, quello della struttura sociale dei Rom. Parrebbe vi sia una rigida divisione in caste, tra cui quella degli “intoccabili”. Ovvero le donne ed i ragazzini che vediamo ogni giorno per strada, ad esempio, il cui compito è consegnare il danaro raccolto alle caste superiori. Ai vertici delle quali troviamo il “re” nazionale e la sua famiglia (allargatissima). A Thélème è noto il luogo in cui si trova, ad esempio, il re italiano. Ma è notizia che non riveleremo. I poteri del re sono quelli di un sovrano seminomade dell’antichità. Piuttosto laschi, maggiori in caso di “guerra”, in tempo di pace consistenti quasi esclusivamente nel dare giustizia e nel presiedere alle cerimonie collettive.

Altre caste, alla maniere indiana, sono legate all’attività professionale svolta…ad esempio i “calderai”. Qui mette conto di sottolineare come la condizione dei Rom si sia aggravata con la contemporaneità. Al di là della differenza di valori, su cui dovremo tornare perché è il punto nodale del discorso, in quanto impedisce l’assimilazione al nostro stile di vita, basta chiedere a qualche anziano connazionale cosa ricorda degli “zingari” nella sua giovinezza. Giochi circensi, commercio di animali (in specie cavalli) e loro addomesticamento, lavorazione talvolta raffinata di metalli, al fine di produrre utensili, pentole etc. Ed ovviamente la musica, il violino. Anche l’elemosina ed il furto con destrezza, beninteso. Purtuttavia tante forme di reciproca utilità fra “gagè” e “zingari” erano di quotidiana evidenza, in modo da consentire se non rapporti stretti, da sempre impossibili, almeno una convivenza più tollerabile. Inutile rilevare come tutto questo sia relegato al passato. Cavalli e asini non sono più di largo uso… le pentole le compriamo al centro commerciale…le giocolerie pubbliche circensi sono vietate…l’arte della divinazione l’ascoltiamo in tv (basti pensare all’ISTAT di Alleva). Resterebbe la musica, ma in forme più che occasionali. Un festival per tutti, dedicato alla musica gitana, in Italia non esiste e di certo serenate a pagamento sotto la finestra non sono la regola, come invece un tempo che fu.

La diffidenza reciproca si è fatta più pesante, la miseria maggiore, la criminalità anche, finendo per sopraffare le professionalità (sempre un po’ incostanti), ormai obsolete.

All’interno dell’endogamia Rom c’è poi endogamia di casta. Lo sfruttamento avviene rigorosamente da parte delle caste superiori ai danni delle inferiori, sino al grado dei “paria”, gli intoccabili appunto. Sino a livelli che ai nostri occhi suonano del tutto aberranti. Per averne un’idea più precisa, senza crear favole inopportune, non dimenticate di rivedere il capolavoro “The Millionaire”, ambientato in India. Bonis pauca. Le donne Rom di età spesso nascondono nelle gonne un sacchetto pieno d’oro; la ferocia delle punizioni impartite all’interno del loro mondo, di cui non sapremo mai, è proverbiale ed irripetibile; le cerimonie raccolgono un numero impressionante di persone e sono fortemente gerarchizzate; l’attualità della condizione itinerante e sovranazionale dei ROM produce matrimoni internazionali, che coinvolgono anche gli stanziali da più generazioni (chi vive in un paesino molisano, se di casta elevata, magari finisce per sposare, per accordi familiari, una rom magiara) e rinsaldano continuamente i vincoli… potrei continuare a lungo col “colore”, ma mi fermo qui. Non è questo quel che conta.

Conta capire, dopo tutto quanto detto, quanto la cultura tradizionale Rom (trasmessa a tutt’oggi con una lingua priva di caratteri propri, solo orale) sia ancora la cultura di un popolo nomade, o seminomade, sopravvissuto ai millenni ed alle trasformazioni succedutesi nelle terre da loro eternamente attraversate. Una tradizione che ci rimanda ai tempi in cui l’agricoltura era agli albori, come le città. E la libertà di spostarsi in lungo ed in largo, senza dar troppo conto ad altri, la principale delle caratteristiche di chi volesse dirsi “uomo”. Da qui l’ostilità a sentirsi legati alla casa ed alla terra, coi vincoli che impone. La vicinanza a tutto quello che invece consente gli spostamenti: un tempo cavalli e asini e carri, oggi auto e roulotte. La pratica dei mestieri consoni al nomadismo (pastorizia – addomesticamento – attività artigianali “viaggianti”), attuale sino al dopoguerra. La disistima per chi paga tasse, per chi vive sempre nello stesso luogo, per chi non è attento al suo portafogli, per chi ha una sola donna, per chi ha pochi figli, per chi ha bisogno di continue certezze: cose da “Gagè”, da prendere in giro. Assistenti sociali in prima fila: gente con cui convivere per necessità e bisogno. Stranieri di fronte ai quali dichiararsi fedeli di Santa Sara. E basta.

Ovviamente il troppo generalizzare è errato. C’è chi lavora onestamente (ma a volte oltre al dichiarato ne fa altro, meno dichiarato, fosse pure solo per meritare la stima collettiva, che non viene certamente dall’aderire alla ‘vita borghese’), chi per fare una vita diversa si è allontanato dalla propria gente (il che qualcosa dovrebbe far capire)… Ma è inutile prendersi in giro, la convivenza col popolo Rom non segue le tracce di quella, pur controversa, con altre popolazioni genericamente “migranti” e “non abbienti”. Perché, ad esempio, mentre l’immigrazione africana ricerca uno stile di vita simile al nostro, sentendosi attratta dalle comodità e dal benessere che la nostra civiltà ha sinora offerto (pur nella differenza), quella dei Rom non è nemmeno un’immigrazione. E’ una tappa di un percorso, per lunga che sia, giammai una scelta di integrazione. La cosa è palese in Romania, dove spesso le lussuosissime dimore dei signori Romanì sono usate per le cerimonie collettive, non come ordinaria abitazione. Il saper dormire sotto le stelle è, ancora oggi, una qualità che il Rom “uomo libero” deve possedere. Come già dicemmo per gli ebrei, un popolo senza Stato vive di segregazione ed autosegregazione. Fossero stati diversi, oggi non ne parleremmo più nelle cronache. Sarebbero materia per storici, una delle tante culture scomparse ed assimilate al mainstream del corso dei tempi.

E veniamo ora al punto dolente… che fare?

Se il nostro stile di vita non risulta davvero attraente, a parte forme parassitarie di utilità (l’auto e non il cavallo, lo smartphone e non i messaggi orali portati dalle carovane, la tv e non il falò), la speranza di un’integrazione spontanea progressiva è fantasia. Le zone loro destinate sono rese bivacchi, indipendentemente dalla qualità di partenza (spesso però mediocre e risicata). I loro bambini difficilmente scolarizzati, frequentemente spinti a mendicare ed a rubare. Le ragazzine sposate a 14 anni, i despoti dei singoli campi proprietari della vita e della morte dei loro “paria” … Questi non sono pregiudizi, questa è la realtà. Come ci si comporta con dei Sarmati contemporanei? Che fare se il tuo sindaco deve sedersi al tavolo con un moderno Alano (l’antico popolo slavo, non il cane)?

La risposta aberrante del nazismo e del socialismo reale la conosciamo. “Non vi volete conformare? Siete tarati, non c’è spazio per voi”. Da qui esilio o, meglio, genocidio. Poco altro. Ma quale può essere la nostra? Il nocciolo della questione, forse anche la sua possibile soluzione, sta proprio nella comprensione dei meccanismi profondi. E quella tocca a noi, cresciuti come siamo in una modernità che, dopo tanti lutti, riesce ad attribuire il termine “uomo” a chiunque sia della specie, al di là della sua etnia. Nostro motivo di orgoglio, nostra immensa responsabilità.

403648_campo-rom - Giugliano

Giugliano, Campania. Un campo nomadi che Hitler avrebbe amato.

Attenzione però… senza mai fingere che la diversità non ci sia. Che la Dea Kalì non sia diversa da Madre Teresa di Calcutta; che la struttura culturale nomadica non sia agli antipodi di quella stanziale (come storia ed antropologia, finché si è sui libri, danno per certo); che l’idea che l’occidente ha dei bambini, dal ‘900 in poi, cancelli ogni precedente, anche europeo… figuriamoci la concezione Rom di proprietà assoluta della prole: Tutto questo è innegabile.

Eppure lo si nega.  La simulazione dell’uguaglianza indistinta, l’ossessione ideologica che giunge al grottesco, alla negazione patente del vero, non è figlia del pensiero moderno.

E’ figlia della strumentalizzazione del pensiero debole, determinata dagli spaventosi fantasmi del novecento. Di cui dobbiamo liberarci, per evitare che, troppo rifuggiti, diventino nuovamente uomini in carne ed ossa, come furono Stalin e Hitler. Ridicolizzare le difficoltà che ha chi vive a contatto con tanta diversità, già spesso in difficoltà di suo, è criminale, non solo snob. Lasciare che si trasformino i campi in ricettacoli di degrado e malavita è la prima spinta al razzismo, alla violenza, alla ragion fattasi.

Cosa fare? In primis accettare l’esistenza della diversità, capire davvero quali sono i valori di fondo, ricercare e stimolare i positivi, essere pazienti con alcune consuetudini arcaiche, essere fermi con le profondamente negative. Per quanto molto possa apparirci brutale, bruti non sono. Sono un’antica civiltà in parte ancora nomade, fortemente ancorata alla sua cultura. Che come tutte le culture offre comunque delle risposte a chi ne fa parte ed è per questo che persiste nella Storia. Per quel che ne sappiamo potrebbe anche sopravvivere alla nostra, italica ed occidentale. E non scherzo per nulla.

Come ogni altro popolo possiedono una scala etica, conoscono l’ospitalità e la generosità, per certi versi senza limiti. Non siamo giudici, nessuno ci ha fatti tali. Siamo conspecifici, con una vita media assai più alta, dotati di quelli che ci paiono, e certamente sono, una maggiore consapevolezza ed un maggior benessere. Non necessariamente essere “gagè” significa non avere rispetto e non essere ascoltati. Per esperienza diretta.

Di certo, il clima di illegalità diffusa che si respira in Italia non rende “maestri” credibili, nei confronti di chiunque qui giunga. Questo è un argomento spesso strumentalizzato dalla comunità Rom, che ne ha piena consapevolezza… ma ha una sua forza e ragion d’essere. Se i primi ad esser proni alle caste siamo noi italiani, da cui poi ci attendiamo assistenzialismo, la differenza finisce per essere quantitativa, più che qualitativa. E la presa culturale alquanto labile.

Fornire aree dignitose ed attrezzate, che non neghino la scelta Rom di una vita nomadica. Consentire loro “giurisdizione separata” sino ad un certo limite. Oltre cui, inflessibile, si applichi invece la legge dello Stato ospite. Scuola obbligatoria e specifica per i bambini, almeno per le elementari, effettivamente attuata. In cui ci sia spazio per la lingua e le tradizioni d’origine. Riscoperta e sostegno alle attività tradizionali, per quanto compatibili con la vita contemporanea. Progressiva sottrazione delle caste inferiori agli abusi delle superiori, mediante tutela economica e di polizia. Senza attendersi immensi successi nel breve, ma senza consentire violazioni di legge che mettano costantemente in pericolo la popolazione ospitante. Promuovere l’elezione di un rappresentante nazionale, con votazioni “libere” in ogni campo, per educare in modo progressivo all’idea del valore individuale. Astenersi dall’accavallamento fra miserie diverse, fonte sicura di scontro e violenza: Un lavoro paziente, capace di evitare lo scontro frontale, in attesa che la storia decida per tutti. Degno dell’occidente che diciamo di essere.

Forse il prezzo della musica gitana e di quella straordinaria esperienza diacronica che Sinti, Kalè, Manouche, Rom rappresentano sarà ancora, per lungo tempo, una rilevante illegalità, fatta di furti e scippi… ma ricondurre questa tendenza all’endemicità storica è il dovere di ogni azione politica da intraprendersi nel futuro prossimo. Così come un’adeguata severità, che non lasci scampo alla sensazione d’impunità, sempre più frequente. E certo non solo nei campi nomadi.

Proseguire nell’ignorante accusa di razzismo, nei confronti di chi sottolinea la specificità della questione, come nell’altrettanto delirante idea si possa “far fuori” 9 milioni di gitani che vivono, più o meno nomadicamente, nel continente europeo, non condurrà ad altro (come già oggi intravediamo) se non all’esplosione del problema, nelle sue forme più agghiaccianti.

Finiremmo insomma per retrocedere noi nella barbarie che ci pare oggi aver confinato in un rassicurante altrove.

7 commenti su “Roma, i Rom e gli italiani: storia e cronaca del blaterar sciocchezze per aumentare i guai

  1. mastropizza ha detto:

    uno splendido articolo degno dei migluori giornali con ottimi propositi inapplicabili in italia. questo perche’ l’italiano fa gia’ fatica ad integrarsi con il vicino di casa. impensabile quindi che accetti svedesi,inglesi,africani o rom. e’ anche da rimarcare come in italia il rispetto delle regole, qualsiasi regola,sia accettabile solo se non vada ad intaccare interessi personali o famigliari o del clan a cui si appartiene ed e’ quindi ridicolo pretendere che altri debbano fare diversamente (soprattutto se hanno valori molto simili…). i fatti di cronaca di questa settimana sono esemplari. prima pagina per i rom che investono una passante a roma e persone (partiti inclusi)che gridano al linciaggio. peccato pero’ che quesro genere di reato sia purtroppo assai comune in italia e che non venga quasi mai punito con l’effettiva detenzione in carcere. come mai? perche’ il comportamento stradale va a braccetto con il comportamento sociale. quante volte abbiamo sentito dire che l’aver investito una persona mentre si guida in stato di ebrezza e’ una tragedia ma che siccome il guidatore e’ un amico o la famiglia e’ conosciuta si puo’ chiudere un occhio? penso che ognuno di noi abbia avuto perlomeno esperienze indirette a riguardo. si commenta da sola una frase di una mia conoscenza che vi esprimo nel suo dialetto per rimarcarne in pieno il folclore:’ vabbe’ ma nu sim italian e quidd so rom e anna mure’. traduco:’vabbe’ ma noi siamo italiani e si puo’ chiudere un occhio alle nostre marachelle mentre il rom deve morire..
    ora la persona che ha detto questo non e’ un carcerato o un criminale incallito ma un avvocato di uno studio di roma. lo stesso avvocato si vanta a tavola di non pagare il canone televisivo. allo stesso tempo la lega ha permesso la vittoria di Toti in liguria promettendo di risolvere il problema immigrazione. Affermazione a dir poco risibile visto che la lega ha raccolto la maggior parte dei voti in provincia di imperia dove c’e’ una fortissima impronta calabrese da piu di 50 anni e gli immigrati soprattutto marocchini vengono tutti impiegati in nero (molto spesso dai calabresi stessi)per coltivare i campi a quattro soldi. riassumendo il calabrese vota lega perche’ gli sta sulle balle il marocchino che impiega al nero per coltivargli i campi. questo per dire che piu’ che di emergenza rim o emergenza immigrazione dovremmo parlare di emergenza italia. ma parlare con chi? beh non penso che buona parte della popolazione rimasta in italia voglia sentirsi dire alcunche’ a riguardo e che quindi questo articolo e i susseguenti commenti dovrebbero essere indirizzati ad altri paesi piu’ propensi a certi discorsi o allagrossa fetta di italiani che stanchi della situazione hanno abbandonato il paese in cerca di lidi piu felici

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    • Abate di Theleme ha detto:

      Non posso che affidare la risposta a grandi maestri…

      La crisi che attanaglia il paese è, come dici, palesemente una crisi di mentalità, di cultura, di costume.
      Riassumendo, l’Italia è rimasta al tardo 1600, in piena controriforma. I sussulti di modernità si sono esauriti con gli anni ’80. La possibilità di fare debito infinito termina con la guerra fredda.
      Nessuno dei nostri politici, e pochissimi fra i cittadini, hanno consapevolezza di ciò.

      Difficile guardarsi oggettivamente senza muoversi da casa propria. Soprattutto se formati da secoli al servilismo e all’assistenzialismo.

      Ritengo che il ciclo storico attuale vada verso un crack economico e psicologico, come nell’intuizione di Andreoli.
      Dopo, chi ci sarà ancora ripartirà quasi da zero.

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  2. […] sul blog di Theleme troviamo un’ampia analisi sulla cultura rom e sulla convivenza coi “gage”, con qualche proposta per risolvere il […]

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    • Abate di Theleme ha detto:

      http://www.ilgiornale.it/news/cronache/sindaco-bitonci-fallisce-nelloperazione-rimpatrio-rom-1143846.html

      Questa notizia chiarisce molto bene cosa accade se ci si comporta col popolo Romanì senza comprenderne la natura. Che di certo non passano il tempo a raccontarci, come si è detto.
      L’idea che avranno del sindaco Bitonci sarà proprio quella del “gagè” tipico, quello dei loro lazzi… avranno gradito il viaggio gratuito, salutato i loro cari e poi ripreso la vita di sempre, tra lo stanziale ed il nomadico.
      Idem farebbero se si dessero loro case, peggio appartamenti di città. Ripeto che li affitterebbero sicuramente, o ci ospiterebbero temporaneamente altri Rom…

      Insomma, prima si afferra il concetto della “diversità”, prima si trova una maniera migliore di convivere.

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  3. […] sia bello perché composto dal molteplice – come è evidente dai post precedenti (vedi qui sul popolo Romanì) – non ritengo che un’ipotesi di autosegregazione, pur proveniente da quella che […]

    "Mi piace"

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